Le scarpette rosse di Karen: punirne una per educarne cento

La bella addormentata

Questa volta mi sento un po’ in imbarazzo perché ho voglia di prendermela pure con Andersen, ma: c’è fiaba più tremenda di Scarpette rosse? Forse giusto La piccola fiammiferaia può contenderle il trono.

Due bambine con forti desideri che muoiono per voler ballare chi troppo chi troppo poco: nessuna delle due riesce a compiere la trasformazione che la storia richiederebbe per passare al quadro successivo, e così restano entrambe in una dimensione congelata.

La fiaba di Karen e delle sue scarpette merita un minimo di introduzione, non essendo super popolare. E ci mancava che per farci prendere sonno ci avessero raccontato di una fanciulla che implora un boia di tagliarle i piedi.

L’ambivalenza di Andersen

Karen era una bambina così povera da non potersi permettere nemmeno un paio di scarpe. Ne riceve uno il giorno della morte della madre, sono rosse, le piacciono tanto e le indossa non ostante il colore non si addica alla situazione. Comunque rimane il funerale della mamma, e dire che se le sia godute mi pare esagerato.

Andersen dice: “Lei non ne aveva altre”. Quindi la giustifica.

Karen viene adottata da un’anziana signora, che come prima dimostrazione d'affetto gliele brucia e la “ripulisce”, riducendo in cenere la consolazione della piccoletta che, giustamente, “giunta all’età della confermazione” (dice sempre Hans Christian), approfitta della cecità della signora per farsi ricomprare a tradimento un paio di scarpe, sempre rosse ma molto più di tendenza, da indossare nel giorno della comunione*.

Ovviamente in chiesa tutti la guardano di traverso.

La vecchia signora si ammala, “bisognava curarla ed assisterla, e questo compito non spettava ad altri che a Karen”. E perché mai? Per aver fatto sentire in difetto la sua protetta e aver spacciato la manipolazione per un’opera pia?

Era invidiosa della sua gioventù, ‘sta vecchia?

Tentava di proteggerla dal giudizio degli altri o si preoccupava della brutta figura che avrebbe fatto lei se avessero pensato che aveva cresciuto un’adolescente tanto sfacciata?

Da proibizione a ossessione

Siccome la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio (cit.) l’idea che l’orfanella adottata potesse seguire le proprie passioni anziché assistere la presunta benefattrice fa fare un cambio di registro anche ad Andersen, che inizia a giudicare il suo personaggio: “Karen pensava SOLO alle sue scarpette rosse”.

La proibizione si è trasformata in ossessione, come spesso succede: dimmi cosa non posso fare e sarà l’unica cosa che voglio fare. Se hai un istinto non traumatizzato dalla colpa ti riesce meglio, altrimenti ti togli le scarpette rosse e il caso è chiuso. Ti convincerai che il nero è effettivamente più elegante.

Nella favola la fissazione si materializza e prende vita propria, costringendo la ragazzina a ballare notte e giorno, attirando su di sé gli sguardi di rimprovero di tutti. Fino al punto che le scarpe non si staccano più e lei è costretta a seguirle anche se è ormai esasperata fisicamente ed emotivamente da quello che ormai è a tutti gli effetti un disturbo ossessivo compulsivo.

Non ce la fa più. Non so se avete presenti i pensieri che vi tengono svegli la notte.

Così, decide di dare un taglio a tutto andando a bussare alla porta del boia che le mozzerà i piedi.


Gran finale: senza piedi, la povera Karen sembra aver finalmente trovato nel rigore religioso la sua strada, ma le si spacca il cuore dalla gioia e ci lascia le penne. Sale in cielo dove, dice Andersen, nessuno le chiede delle scarpette. E almeno all’altro mondo un po’ di pietà infine arriva.

Invece se Andersen l’abbia perdonata o no non l’ho ancora capito.

Ma quindi?

Cosa ci vuole dire questa storia di vero terrore?


Che non bisogna farsi travolgere dalle passioni altrimenti si perde la libertà di scelta?

O che se non siamo vigili un agente esterno trasforma le nostre passioni in ossessioni tipo comprare troppe paia di scarpe, mangiare troppa cioccolata, pettinare troppe bambole e insistere a soffiare sulle vele di relazioni ormai ammainate?

O invece che ci sono passioni che non riusciamo a seguire perché il giudizio degli altri ci pesa al punto che ci tagliamo i piedi da soli? In ogni caso, sempre dal boia si finisce.


Io ho il sospetto che Scarpette rosse custodisca esclusivamente una morale contenitiva e punitiva, ma questo non significa che non abbia risvolti interessanti: come in tutte le favole, l’importante è saper distinguere

gli alleati dai nemici.

L’ambiguità polivalente del reale

Ciò che amo delle favole è che escludono (cito Paola Santagostino, Guarire con una fiaba) “l’ambiguità polivalente del reale”.

Tradotto: chi è buono è buono, chi è cattivo è cattivo. Non ci sono grosse trasformazioni a confondere il protagonista e a fargli perdere tempo.


La mancanza di questa chiarezza è la prima causa delle psicosi contemporanee, e come campione statistico prendo me e qualche amica mia nel mazzo.


Il pericolo di credere alle favole non è scoprire quasi subito che nella realtà il principe azzurro (o quello che rappresenta) non esiste - che comunque sulle prime è un dispiacere - ma che gli individui spesso, ma davvero molto più spesso di quello che col nostro cinismo d’accatto eravamo disposti a fingere di aver compreso, non pensano quello che dichiarano, e non avvertono il fastidio della distonia se le loro parole sono diverse dai fatti.


Sono convinti che bastino le parole, ma sinceramente convinti. Se la prendono anche, se fai notare la discrepanza! Non c’è bisogno di pensare ai politici, ci sono gli amministratori di condominio e i narcisisti patologici, le femministe improvvisate e alcuni parrucchieri.


Tornando a Karen, qual è l’ambiguità che la porta a morire dopo non aver nemmeno avuto modo di godersi le agognate calzature in santa pace come invece la consorella Cenerentola aveva fatto con le sue di cristallo e avendo a che fare con una matrigna dichiaratamente stronza?

S-comfort zone

L’anziana signora arriva in scena come colei che salva Karen per darle ciò di cui ha bisogno, ma è proprio ciò di cui ha bisogno Karen a spaventare la signora.


Ho avuto a che fare per un lungo periodo con una di queste figure che, mosse dalle migliori intenzioni (a parole), ti inchiodano alla legge del rispetto di regole inesistenti e di sensi di colpa inventati, solo perché temono che tu possa dimostrare di avere delle preferenze.

Che il conto non tornasse era evidente, ma ero convinta che quella che si presentava come una zona di conforto non potesse al tempo stesso essere l’ala che mi faceva ombra con critiche ed esortazioni a una specie di umiltà non troppo diversa da quella che avrebbe dovuto provare Karen secondo la sua benefattrice.


Eppure Hansel e Gretel ci avevano ammonito: “le streghe delle fiabe prima accolgono i bambini nella loro casetta nel bosco, casette di marzapane, allettanti, calde, confortevoli; li attirano con mille moine, ma poi li imprigionano: li nutrono sì, anzi li ingrassano, ma il loro scopo è quello di mangiarseli!, spiega sempre Santagostino (Paola, non quello con l'apostrofo).

Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi…

Togliere il velo all’ambiguità è sulle prime più un dolore che un sollievo.


Un po’ perché devi riconoscere che non sei furbissimo, che il tuo investimento (sentimentale, amicale, lavorativo) non solo non ha fruttato ma che ci hai anche perso qualcosa, e poi devi lasciar andare quella che comunque la si veda ha qualche caratteristica della relazione simbiotica.


Per quanto mi riguarda, pur da adulta e vaccinata ho grosse difficoltà a intercettare l’ambiguità e a considerarla esclusivamente brutta e cattiva, essendo di fatto convinta che la coerenza non sia una virtù affascinante e che cambiare idea è un lusso che dovremmo permetterci tutti.


Se il tempo non mi ha insegnato a distinguere, io ho però imparato a litigare. Lo dico così, per avvisare.


L’idea di Karen di tagliarsi via i piedi non la trovo insensata, visto che ormai è psichicamente devastata. La sua ribellione adolescenziale, che in altri casi tipo Cappuccetto Rosso ha fatto il suo dovere (l'avventuriera ha disubbidito ma ha avuto la sua lezione e procede alla volta della prossima trasformazione), è stata repressa dalla finta alleata: la strega con la casa di marzapane.


Non è insensata perché quando qualcosa/uno ha il sopravvento sulla tua razionalità e sai che ti stai bulimicamente abbuffando di aria fritta per riempire

col vuoto altri vuoti fai bene a levarti da davanti il problema in maniera più

decisa possibile.


"I problemi sorgono quando il sacrificio è grande ma da questo non nasce la vita”, dice la Estés.


Ora mi dovete dire perché questa disgraziata deve morire per il troppo sballo di essersi redenta, quando poteva stare felice e contenta con le sue scarpette rosse e campare cent’anni. Io queste cose non le vorrei dire, perché poi pare che sempre lì vai a parare, però se fosse stato un maschio a inseguire la sua creatività provocando i cattolici del paese e presentandosi in chiesa, chessò, con un paio di stivali modello sette leghe, sarebbe stato costretto a tagliarsi i piedi

per sopravvivere o sarebbe stato raccontato come un rivoluzionario pure se era

alto quanto un Pollicino?

 


*Non ho mai capito la cronologia della confermazione. Il dizionario dice che è la cresima, che è poi quello che ricordavo anche io. Ma la cresima non viene dopo la comunione? Vabbè, non è importante. Mi importa però che “confermare” vuol dire “rendere stabile” in latino, quindi che Karen a quell’età confermava la sua

passione per le scarpette rosse.

"I problemi sorgono quando il sacrificio è grande ma da questo non nasce la vita".

C. P. Estés

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